DAL MALTRATTAMENTO AL FEMMINICIDIO
Analisi di una tragedia molto italiana
Il tema dei maltrattamenti, al
contrario dell’economia, pare non conoscere tempi di crisi.
Le cifre parlano chiaro: ogni
anno nel mondo (e non solo nei paesi in cui non v’è ancora stata una rivoluzione
( o evoluzione) rispetto alla parità di genere, ma anche in paesi più moderni)centinaia di donne vengono uccise dai propri compagni o ex compagni,
mentre migliaia subiscono violenza fisica o psicologica, senza denunciare.
Nel 2014 l’Eures, nel II rapporto
sul femminicidio in Italia (anno 2013) ha calcolato che sono state uccise 179
donne, per una media di una ogni due giorni. Il dato mostra un incremento del
+14% rispetto al 2012. Aumentano anche, rispetto all’anno precedente, gli
omicidi effettuati in ambito familiare (+16,2%) che passano così da 105 a 122.
Il 2013 ha rappresentato l’anno con la più elevata percentuale di donne tra le
vittime di omicidio mai registrata in Italia, un dato pari al 35,7% dei morti
ammazzati (179 su 502).
Le cifre sono impressionanti.
I giornali riportano
continuamente di casi di omicidio passionale, perpetrato sull’onda di un
sentimento d’amore, definendo con un termine decisamente scorretto e fuorviante
quanto è successo: è chiaro, infatti,
che chi uccide, in realtà non ama.
Esistono troppa sufficienza e
troppa imprecisione nel riportare e spiegare mediaticamente questa tipologia di
comportamenti.
Omicidio
passionale è un termine inadatto per
descrivere questo fenomeno, anche se il suo utilizzo ha l’effetto di alzare gli
ascolti ed aumentare le vendite delle testate giornalistiche.
Nessuno ucciderebbe chi ama
davvero.
Molti, invece, uccidono la
persona che temono di perdere, perché è dal possesso della persona stessa che
dipende la propria sopravvivenza emotiva.
Se non mia, di nessun altro.
Meglio morta e di nessuno, piuttosto
che viva ma non mia.
Esiste un filo (o sarebbe meglio
dire una catena?) che unisce possesso, controllo e potere in alcune relazioni.
Il possesso non ha nulla a che vedere con l’amore. Anzi, a ben vedere,
ne è l’esatto contrario. Amore è, infatti, rispetto della vita dell’Altro, compreso
il rispetto della dignità e della sua libertà.
Per citare una frase di R.
Norwood (Donne
che amano troppo)
nessuno
può controllare nessuno.
In una relazione, il tentativo di
possesso dell’altra persona (confuso con l’ amore) è un’illusione che porta
solo a terribili sofferenze, gelosia sconclusionata, comportamenti abominevoli.
Il possesso ha invece molto a che
vedere con il potere.
Il dominio sul partner è
l’effetto dello sbilanciamento del potere su uno solo dei membri della coppia,
e lo si può ottenere in diversi modi, dai più diretti ai più sottili, che
andremo a conoscere lungo la trattazione.
Come ben osserva Lowen (Il narcisismo, p. 90)
se
tutti avessero pari potere,
nessuno
controllerebbe nessuno.
Ma per quale fine alcune persone desiderano
così prepotentemente il controllo? Quale è lo scopo od il motivo del riuscire
ad avere totale potere in una relazione?
Il potere è direttamente
collegato al comando. Chi domina decide, per sé stesso e per l’Altro.
La maggior parte delle teorie
psicologiche è concorde con l’affermare che l’esigenza di potere, controllo e
dominanza sono riconducibili alla presenza di una di più paure, spesso di
origini inconsce, che grazie a questa posizione di superiorità verrebbero
sedate, controllate. Lo scopo del potere nella relazione sarebbe quello di ottenere
vantaggi personali e soddisfare bisogni profondi ed egoistici (C. Madanes, Amore, sesso e
violenza, Ponte alle Grazie, Torino, 2000).
Lowen ipotizza che il potere non
servirebbe per eliminare il senso di impotenza, di inferiorità e di incapacità,
ma servirebbe piuttosto a negarle.
La differenza c’è, anche se è
sottile.
L’eliminazione del senso di
impotenza, infatti, prevede la scomparsa della sensazione di impotenza, meccanismo
difficile (se non impossibile) da realizzare. La persona, allora, tenta di negare
le sensazioni sopra elencate affermando (agendo) il contrario.
Questo è il meccanismo basilare
da comprendere: per negare un’emozione, una sensazione o un’ autoimmagine, devo
agire il suo
opposto. Solo così posso controllarla.
Per negare la paura, devo agire
il coraggio.
Per negare la dipendenza, devo
agire il distacco.
Per negare il senso di fallimento,
devo agire la grandiosità.
Per negare l’impotenza, devo
agire il dominio.
Per negare il rifiuto, devo agire
il possesso.
Il potere sarebbe quindi il mezzo
tramite cui l’uomo crea la propria illusione di controllo, e attraverso il quale i nostri
maltrattanti negano un mondo affettivo ed emotivo devastato, che corrisponde al
loro inferno.
C’è da osservare che quando
potere e possesso compaiono combinate, portano ad un solo risultato: la negazione
della libertà dell’Altro.
Il possesso è l’esatto contrario
della libertà, diritto fondamentale di ogni individuo.
In molte delle relazioni che si
concludono con l’omicidio della donna, la libertà (fisica, ma anche mentale)è qualcosa
che viene persa progressivamente, fino ad arrivare a perdere la vita.
L’omicidio è solo l’atto finale
della privazione della libertà dell’Altro, quando sono falliti tutti gli altri
tentativi di possesso e di controllo.
In queste relazioni in pericolo
non c’ è solo la libertà di movimento o la libertà di vedere amici, ma anche
libertà di pensiero e la libertà di costruire e vivere la propria identità.
Questa relazione
malsana (definita perversa) è prodotta dalla percezione della propria
compagna come oggetto di soddisfacimento dei bisogni, e non come soggetto con
una propria identità e dignità.
L’altra leggerezza mediatica è il
riportare questi gesti come causati da raptus,
termine utilizzato per indicare una perdita di controllo degli impulsi, un atto
sconsiderato, fuori dal controllo della volontà della persona.
Anche in questo caso è necessario
fare le dovute correzioni, poiché nelle analisi delle casistiche si nota
chiaramente come il
tanto invocato raptus non sia altro che il gesto finale di ripetuti
comportamenti di maltrattamento. Le donne
di cui parliamo vivono spesso da anni una vita relazionale e matrimoniale o di
convivenza connotata da maltrattamenti fisici e psicologici, che solo in alcuni
casi si concludono con l’omicidio. Gli omicidi commessi per improvvisa perdita
di senno corrispondono ad una percentuale minima; tutte le altre situazioni rientrano
in quelle che chiamiamo relazioni maltrattanti, che prevedono comportamenti
coscienti e reiterati, non certo caratterizzati da perdita di controllo.
Il maltrattamento relazionale è
un fenomeno di proporzioni enormi che nonostante gli interventi, i programmi
divulgativi, le “Pubblicità progresso”, gli avanzamenti legislativi, continua a
provocare vittime.
Parlare di maltrattamento non è
semplice.
La casistica è complessa e va letta
e compresa sotto diversi punti di vista. Esistono infatti moltissime forme di
maltrattamento, tante quante uno ne può inventare. Ed esistono numerose
sfumature di presenza e manifestazione del fenomeno che dipendono da come
agiscono e reagiscono i protagonisti, ma anche tutte le persone coinvolte.
Il femminicidio è solo l’epilogo
tragico
di una storia costellata da violenza domestica,
nella quale la
componente psicologica è sempre presente,
anche se non sempre visibile.
Ma come è possibile trasformare
la propria vita in un susseguirsi continuo di tragedie? Le donne che allacciano
relazioni con uomini maltrattanti, finendo poi per rimanerne invischiate,
soffrono di qualche problema? Possiamo riconoscere da subito i nostri aguzzini
o si trasformano come tali durante il proseguire del rapporto? Perché non ci
sottraiamo alle violenze psicologiche o fisiche, anche quando ci rendiamo conto
che provocano enorme sofferenza a noi stessi o ai nostri figli? Quanti tipi di
violenza esistono?Maltrattano di più gli uomini o le donne? Che differenza c’è
fra litigi con toni aspri e maltrattamento? C’è modo di sapere se mi trovo
all’interno di una relazione maltrattante? Come posso uscirne?
Nei prossimi articoli andremo ad analizzare èpunto per punto questo fenomeno.
Monica Bonsangue
da "Giochi di prestigio. Svelare i trucchi della violenza psicologica nella coppia".
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